Diletta prova a raccontare l’esperienza in Georgia, consapevole che le parole non bastano a esprimere quanto ha vissuto
Mi hanno chiesto di scrivere un articolo riguardante la mia esperienza in Georgia e io da brava scolaretta ho accettato… nonostante sia perfettamente consapevole che le parole non bastino a esprimere quanto mi è stato chiesto perché la mia esperienza va molto al di là. Per comprenderla davvero servono gli innumerevoli ricordi che fanno traboccare il cuore di gioia e illuminare il volto.
Sono partita il 4 Agosto con una piccola combriccola di 7 “fratelli”, che fin da subito mi hanno fatto assaporare il sapore della famiglia e grazie a cui sono riuscita a sostenere l’impatto con una realtà che per molti aspetti è lontano dalla nostra, alla volta di un piccolo paesino racchiuso tra le montagne del Caucaso (non in America… come ho dovuto specificare a molti! “-.-).
Per circa due settimane abbiamo aiutato alcuni ragazzi del luogo, guidati dall’instancabile Padre Filippo, a entrare in contatto con la realtà oratoriana; da noi è una situazione ormai assodata da tempo ma là sta nascendo in questi ultimi anni, grazie agli assidui sforzi di un piccolo gruppetto di persone).
Durante gli incontri di preparazione nei mesi precedenti la partenza avevamo concordato tre obiettivi da raggiungere, o perlomeno tentare, durante il periodo di permanenza in quella “terra straniera”: servizio, fraternità e discernimento. Queste sono state le parole chiave che ci hanno accompagnato in tutto il percorso.
Servizio alla Chiesa locale, ai bambini, agli animatori affinché potessero entrare in contatto con una realtà diversa quanto bella.
Ognuno di noi ha dato molto (personalmente una parte di me è ancora là) e in cambio ha ricevuto molto; vedere i bambini che ci correvano sempre incontro per salutarci, abbracciarci o che si disperavano per i nostri (fallimentari) tentativi di imitare i bizzarri suoni della loro lingua (seriamente… è una lingua impossibile!!!) o per cui il momento più bello della giornata fosse aiutare noi animatori a portare degli scatoloni nell’impervio tragitto verso la palestra in cui giocavamo, mi ha fatto capire la gratuità del servizio che stavamo compiendo. Ero arrivata lì senza aspettarmi in cambio nulla, dall’alto del mio orgoglio non credevo che loro sarebbero riusciti a restituirmi molto più di ciò che io avevo dato… ah, quanto mi sbagliavo!
Fraternità, tra noi italiani, tra italiani e georgiani e penso anche tra georgiani e georgiani.
Una delle prime cose che abbiamo notato era la presenza di tante tradizioni, popolazioni, religioni differenti; credo che l’aver mostrato loro cosa significhi essere fratelli (seppur in piccolo e con tutte le difficoltà che potrebbero sorgere) sia stato utile per comprendere almeno in parte i motivi che hanno spinto i loro megobarebi Italiuri (= gli amici italiani) ad affrontare ore e ore di scali internazionali e spericolati viaggi in pullmino.
La terza parola era discernimento. Ognuno di noi era partito per varie motivazioni, ognuno di noi aveva la propria storia e in quel breve periodo abbiamo capito qualcosa di noi stessi, della nostra vita e missione (ad esempio, io ho capito che è inutile sperare di dimagrire se si va in un posto in cui la cucina è semplicemente da leccarsi i baffi) e al contempo abbiamo imparato a conoscere pezzi della vita e delle aspirazioni di coloro che ci accompagnavano.
Credevo di essere partita per testimoniare il Vangelo nella quotidianità dell’oratorio mentre mi sono accorta che sono stati loro a testimoniare a me; grazie a ciò ho preso alcune decisioni che io reputo importanti per la mia vita tra cui riprendere in considerazione alcune mie qualità che per timidezza o pigrizia o svariati altri motivi non ho coltivato e farne fruttare altre che ho recentemente scoperto, per vedere se anche loro rientrare nel mio futuro.
In Georgia ho imparato a cambiare prospettiva, a sentirmi un po’ madre e anche sorella di tutti coloro che ho incontrato, piccoli e grandi e non più solo figlia.
Ho avuto (finalmente!!) il coraggio di prendere alcune decisioni che da tempo rimandavo e, almeno per ora, sono felice di ciò.
La Georgia mi ha cambiato, mi ha dato uno scossone fin nelle fondamenta quindi non ho paura di affermare che quello di cui mi accontentavo prima di partire mi basti ancora. Ora voglio di più.
Ci sono ancora tanti aspetti e aneddoti da raccontare e tanti spunti su cui riflettere.
Il primo impatto può non essere esattamente piacevole; abbiamo provato anche noi un po’ di pietà per alcune situazioni con cui siamo entrati in contatto ma la situazione in cui ci trovavamo (essere stranieri straviziati in terra straniera) ci ha insegnato ad andare molto oltre.
Avete presente il “Mal d’Africa”?
Perfetto… quello è venuto ai ragazzi che hanno fatto lo stesso tipo di esperienza in Camerun.
A me è venuta la “georgite”… e la auguro a tutti!!!